Dodici mesi d'Arte
Dodici capolavori presentati e descritti dal
soprintendente Cristina Acidini

L’opera d’arte di Maggio non poteva che esser floreale: una delle più belle nature morte – la più bella? – che sia mai stata dipinta a Firenze, dove pure l’amore per i fiori e per la loro rappresentazione, artistica e botanica, ha attraversato i secoli a partire dal Medioevo .
Il quadro è di Carlo Dolci (1616-1686), pittore prediletto dalla devota corte medicea per i suoi soggetti sacri, e per quanto si sa, autore di quest’unica natura morta. Il quadro ci apre la visuale di un angolo in penombra: su un tavolo rivestito di velluto rosso c’è un pregiato vaso metallico sbalzato a motivi vegetali, con l’arme del cardinale Giovan Carlo de’Medici. Il mazzo che vi è infilato si compone di tulipani (Tulipa gesneriana in varie cultivar) e inoltre di fiori di anemone, narciso, giacinto, ranuncolo, violacciocca gialla e bianca e zagara di arancio amaro, tutti dipinti con squisita precisione e bellezza di stesure pittoriche. Del quadro sappiamo molto: fu dipinto nella primavera del 1662 e pagato 60 scudi, una cifra esagerata perché, come scrisse nel documento originale il contabile del cardinale, “con quest’homo è stato considerato il tempo che ci ha perso che è stato lunghissimo”.
Ma altro ancora racconta il quadro stesso. I fiori del mazzo, come raramente accade nei florilegi, fioriscono più o meno in contemporanea e hanno dimensioni correttamente in scala: ritratto di una speciale fioritura primaverile in uno dei giardini del cardinale, di creature viventi curate e care, orgoglio del padrone e del giardiniere?
Sul tavolo, in un catino di ceramica bianca imperlato di gocce sono immersi un esemplare di Tulipa viridiflora dai tepali striati di verde e due tulipani stradoppi del tipo detto “mostruoso” per l’eccesso di petali. I fiori nel catino paiono appena recisi dal giardino, mentre un tulipano striato sfatto è stato tolto dal vaso e langue sul velluto prima d’esser gettato.
Questa esattissima descrizione delle circostanze ammette l’osservatore all’intimità di una quieta scena domestica, dove un servitore - ora invisibile - ha interrotto il suo lavoro di “rinnovare” il mazzo già da qualche giorno collocato a ornare una stanza del quartiere cardinalizio, eliminando i fiori invecchiati e aggiungendone di freschi.
Il quadro trova la sua ragion d’essere nell’intesa tra il cardinale amante della botanica e il pittore meticoloso fino allo sfinimento, alleati nel trasmettere alla Storia un tale trionfo di bellezza effimera.