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Rembrandt visto da Morandi
Morandi m’ha regalato la stampa con la conchiglia a fuso, picchiettata di nero.
Le ombre hanno il nero opaco, cotonoso dei neri di Rembrandt.
Un nero livido, pestato, ottenuto per la combustione, la distruzione della materia.
Il nero di una notte tetra, passata a guardare fissamente nel buio.
(Giuseppe Raimondi)
Guardare Rembrandt con gli occhi di Morandi per capire il segreto della loro lontanante vicinanza: questo l’intento della prossima mostra al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, dove la visione delle opere sarà esaltata dal nuovo impianto di illuminazione.
Che Morandi, proprio agli inizi della sua formazione autodidattica come incisore, si fosse interessato a Rembrandt è risaputo. Nella sua biblioteca non mancavano pubblicazioni sull’artista olandese, mentre nella collezione figuravano almeno cinque incisioni. Morandi, dunque, deve aver tenuto sotto gli occhi a lungo quegli autentici capolavori di bravura tecnica tesi a descrivere la complessa ricchezza della realtà fenomenologica, ma poi, quando si risolse a incidere, parve, con un colpo d’ala improvviso, liberarsene: all’opulenza tecnica e descrittiva di Rembrandt oppose l’estrema rarefazione della “sua” natura, rinunciando a ogni complicata commissione di acquaforte, puntasecca e bulino per puntare quasi esclusivamente, dopo le sperimentazioni tecniche degli anni fra il 1921 e il 1923, sulle acqueforti.
Lamberto Vitali, che nel 1957 dedicò all’opera grafica di Morandi una monografia ancora oggi fondamentale, parla, in effetti, di un momento rembrandtiano, cui appartengono soprattutto stampe dei primi anni Venti. Ma l’accostarsi di Giorgio Morandi a Rembrandt segue le strade, più nascoste e impervie, dell’emulazione, piuttosto che quelle, più ostentate e scontate, dell’imitazione e, per certi versi, ci ricorda il cammino sapientemente imboccato dal maestro olandese in direzione delle incisioni di Lucas van Leyden e di Dürer.
Il punto di incontro con Rembrandt, Morandi lo rintraccia, infatti, soprattutto sul piano della verità del segno, che non vuol dire ricerca di una vicinanza iconografica, stilistica o morale, ma emulazione delle potenzialità espressive della linea incisa.
L’unica volta che si ispirava a Rembrandt anche dal punto di vista iconografico, con la sua Conchiglia del 1921, Morandi lo farà emulando (non copiando) la sola natura morta dovuta all’olandese, quel conus marmoreus del 1650, che per la sapiente “ricreazione” dell’artista pare cambiare pelle e dal mondo dei naturalia trasmigrare in quello degli artificialia.
Morandi stesso, nella nota intervista rilasciata al Prof. Mangravite il 25 aprile del 1957 per “Voice of America”, aveva asserito: “Per me non vi è nulla, cioè ritengo che non vi sia nulla di più surreale e nulla di più astratto del reale”.
Enti promotori
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
Cura
Marzia Faietti e Giorgio MariniSegreteria
Maria Elena De LucaBiglietto
Sala Espositiva Edoardo Detti
Ingresso con il biglietto della Galleria degli Uffizi
Orario
martedì-domenica 8.15-18
Note
Cataloghi di riferimento:
- Rembrandt e Morandi: mutevoli danze di segni incisi, catalogo della mostra (Bologna, Museo Morandi, 4.2006) a cura di Marzia Faietti, Ferrara, Edisai, 2006
- Per Rembrandt, cartella a cura di Marzia Faietti e Giorgio Marini, Firenze, Edizioni Polistampa, 2006